Un viaggio negli Stati Uniti del Sud, che taglia trasversalmente le sue diverse identità, tradizioni, sfaccettature, passando dalle immense pianure del Texas, il Lone Star State, col suo rude fascino di cowboy, al bacino idrografico gravitante intorno al fiume Mississippi, culla della fecondissima umanità afroamericana.
Dallas, tra le città più dinamiche degli Stati Uniti, interessata da un fervido processo di gentrification, si fregia di importantissime istituzioni culturali, su tutti l’Arts District, il principale quartiere museale e ricreativo d’America.
Non meno propulsiva San Antonio, il più antico insediamento del Texas, fondato da Francescani spagnoli nel 1718.
Terza tappa, e quarta metropoli più popolosa della confederazione, Houston è città multietnica, che vanta, oltre a quello demografico, numerosi primati: secondo porto di tutta la nazione, centro industriale e tecnologico, legato soprattutto al settore petrolifero ed energetico, sede di nove tra le più 500 importanti aziende americane, terzo più svettante skyline dopo New York. E, vanto non da poco, il suo nome è risuonato addirittura nello spazio, il 14 aprile 1970, quando l’equipaggio dell’Apollo 13 mandò alla base NASA non distante dal centro urbano, il famosissimo messaggio: “Houston, we’ve had a problem.”
In direzione Est, varcato il confine con la Louisiana, l’itinerario giunge a New Orleans, la capitale creola, esoterica, in bilico tra tenebre e redenzione, patria dell’immenso Satchmo, Louis Armstrong: nei locali del French Quarter, al blues si aggiungono lo zydeco, le sonorità cajun e, ovviamente, il jazz, che ha il proprio tempio nella Preservation Hall.
Risalendo il corso del Mississippi, s’incontrano Vicksburg, che ospita il monumentale National Military Park, sul sito di una battaglia decisiva della Guerra Civile americana, e Clarksdale, sosta imprescindibile lungo il Mississippi Blues Trail, in virtù del Delta Blues Museum, del Ground Zero Blues Club di Morgan Freeman e dell’incrocio tra Highway 49 e 61, presso il quale Robert Johnson, il genio maledetto e tutelare del blues, avrebbe venduto la propria anima al diavolo.
Ora il viaggio punta verso il Tennessee e Memphis (consigliabile, prima, una deviazione a Tupelo, cittadina natale di Elvis), la grande fucina artistica e discografica che, negli anni ’50-’60, vide l’incontro e la fusione tra le diverse anime etniche della musica southern. Qui non si possono perdere: i Sun Studio, “birthplace del Rock’n’Roll”, Beale Street, la strada madre del blues fitta di locali storici, lo Stax Museum, appartenente alla principale etichetta gospel del mondo, Graceland, la faraonica dimora di Elvis, il National Civil Rights Museum, ospitato nel motel dove fu assassinato Martin Luther King, e poi a scelta la Memphis Music Hall of Fame e la Blues Hall of Fame.
Nemmeno il capolinea è avaro di emozioni. Eccoci a Nashville, capitale del Tennessee, l’Atene del Sud, la City Music, la patria del country, celebrato dal grandioso Country Music Hall of Fame and Museum, 2 milioni e mezzo di oggetti in esposizione, da rari filmati d’epoca a indumenti delle star. Immancabili, inoltre, gli RCA Studio B, a “home of 1000 hits”, la sala di registrazione fondata nel 1956 da Dan Maddox, dove sono state incise oltre 35000 canzoni, di cui 1000 successi da top parade e circa 260 brani di Elvis, oltre a Roy Orbison, Chet Atkins, Jim Reeves, The Everly Brothers, Charley Pride, Waylon Jennings, Dottie West, Don Gibson, il Museo dedicato a Johnny Cash, l’immortale “man in black” che riposa proprio a Nashville, e il Grand Ole Opry House, noto come The Show that Made Country Music Famous, il più longevo programma radiofonico del mondo, in onda dall’8 novembre 1925.